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Leasing risolto prima del fallimento: quale disciplina si applica?

La I sezione Civile della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 27545/19 del 28/10/19, chiarisce che a seguito della legge n. 124/2017 (art. 1, commi 136-140) il leasing finanziario ha assunto una fisionomia unitaria; Si ritiene quindi definitivamente superata la distinzione, di matrice giurisprudenziale, tra leasing c.d. “di godimento” e leasing “traslativo” ed il ricorso in via analogica, per tale seconda figura, alla disciplina dettata dall’art. 1526 c.c.; Conseguentemente gli effetti della risoluzione del contratto di leasing, verificatesi anteriormente alla dichiarazione di fallimento, dovranno dunque essere regolati sulla base di quanto previsto dall’art. 72-quater l. fall., che ha carattere inderogabile e prevale su eventuali difformi pattuizioni delle parti. Pertanto in caso di fallimento dell’utilizzatore, il concedente avrà diritto alla restituzione del bene e dovrà insinuarsi al passivo fallimentare per poter vendere o allocare il bene e trattenere, in tutto o in parte, l’importo incassato. Sulla base del valore di mercato del bene, come stabilito dai valori di stima, sarà determinato l’eventuale credito della curatela nei confronti del concedente o il credito, in moneta fallimentare, di quest’ultimo, corrispondente alla differenza tra il valore del bene ed il suo credito residuo, pari ai canoni scaduti e non pagati ante fallimento ed ai canoni a scadere, in linea capitale, oltre al prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione.
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