Diffamazione sui social: serve chiarezza
La Cassazione, con la sentenza n. 40746/2024, ha fornito un’importante indicazione per chiunque utilizzi i social media e desideri proteggersi da accuse di diffamazione. La quinta sezione della Suprema Corte ha stabilito che non tutti i post offensivi su Facebook o altre piattaforme possono essere considerati diffamatori. Per essere diffamatori, è necessario che il destinatario dell’offesa sia chiaramente identificabile, senza possibilità di interpretazioni personali. Questo principio tutela chi utilizza i social senza fare riferimenti diretti a individui o entità specifiche.
Il caso esaminato riguardava un post pubblicato su Facebook con affermazioni offensive, ma senza indicare un destinatario preciso. La Corte ha chiarito che per configurare un reato di diffamazione, l’identificazione del destinatario deve essere evidente. Non basta che qualcuno si senta offeso e pensi di essere il bersaglio. Serve una prova concreta che colleghi l’affermazione al soggetto in questione. Questo significa che post generici o con riferimenti vaghi difficilmente possono essere considerati diffamatori.
Diffamazione sui social: serve chiarezza
La decisione è particolarmente rilevante per chi usa i social per esprimere opinioni, i cosiddetti “leoni da tastiera”, ad esempio. Spesso, le persone fraintendono affermazioni generali come riferite a loro, avanzando accuse infondate. Tuttavia, secondo la sentenza, se il post non consente di identificare il destinatario con certezza, non si può parlare di diffamazione. Questo chiarimento rappresenta una tutela per chi utilizza i social, ma anche un avvertimento: se si include un riferimento chiaro e diretto a qualcuno, si rischia di incorrere in responsabilità legali.
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